«La stanza di Jacob», pubblicato cent’anni fa, insiste sul trauma della Prima guerra mondiale che sterminò una generazione di giovani uomini, come il protagonista Flanders
Annus mirabilis della letteratura angloamericana, il 1922 vede uscire La Terra Desolata di T.S.Eliot, l’Ulisse di James Joyce, e La stanza di Jacob di Virginia Woolf. Opere che ognuna a modo suo, in maniera più o meno diretta, più o meno eclatante, testimoniano il trauma della guerra – la prima mondiale – che sterminò una generazione di giovani uomini come Jacob Flanders, il protagonista del romanzo woolfiano, che già nel nome Flanders, ovvero Fiandre, evoca le battaglie tra le più cruente di quella guerra.
A proposito della battaglia di Passchendaele si parlò, in effetti, di «carneficina nel fango delle Fiandre». Dal primo agosto al trenta novembre del 1917 le perdite ufficialmente ammesse dai britannici furono 360mila, in quello che verrà definito «il più triste dramma della storia militare inglese». Insomma, la loro Caporetto.
Nel suo primo romanzo “modernista” Virginia Woolf sfiora quel dramma, appunto, nel nome; non mette a tema la guerra, ma conduce la trama a pezzi e bocconi verso l’ultima scena, che ci precipita nella stanza di Jacob – vuota. E un’eco attutita e sorda di dolore si solleva nel romanzo, mentre l’ombra del massacro rimbomba nella domanda finale della madre, che ritrovandosi nella stanza del figlio scomparso, solleva un paio di scarpe, e le mostra a noi lettori, e ci chiede che cosa farne, ora che Jacob non è più? Lo chiede a noi lettori, a cui però non ha ancora detto, e siamo alla fine del romanzo, che Jacob è morto. Ma la stanza è vuota. O meglio, è piena della sua mancanza.
Di tutte le magnifiche illusioni e possibilità e progetti del giovane Jacob, della sua irresistibile attrazione verso il futuro, che pagina dopo pagina ci è stata descritta, dei suoi sogni, delle sue aspirazioni, della sua volontà di vita, della sua energia vitale, sono rimaste le scarpe: le scarpe sono la cosa reale, sì, la res concreta che è lì. Sono le spoglie dell’eroe che non c’è più, i resti del disparu, dello scomparso, del fuggitivo.